«Morire non è nulla; non vivere è spaventoso.» Non vado lontano e vi vedrò di là: basterà che guardiate, quando farà buio, e mi vedrete. (diventare una stella). Amatevi tanto, sempre; al mondo non v’è nulla, all’infuori dell’amore reciproco. Nell’ombra, certo, stava ritto qualche angelo immenso, colle ali spiegate, ad attendere l’anima.
Tutto proviene dalla luce e tutto vi ritorna. È spaventoso interrogare l’ombra: chissà cosa vi risponderà?
La pupilla si dilata nelle tenebre e finisce per trovarvi la luce, così come l’anima si dilata nella disgrazia e finisce per trovarvi Dio…. egli camminava come un enigma… Come il profeta, egli era nel ventre del mostro. coll’anima piena di una strana luce…. sotto il crepuscolo diffuso, l’anima, ad imitazione del cielo che s’illumina, si costella. Valjean sembrava fatto d’ombra e Javert, di pietra; e in quella carrozza piena di tenebre, l’interno della quale, ogni qual volta passava davanti ad un lampione, appariva lividamente imbiancato come da un lampeggiare intermittente, il caso riuniva e pareva tristemente mettere a confronto, tre immobilità tragiche, il cadavere, lo spettro, la statua.
l’angelo bianco e l’angelo nero stanno per ghermirsi sul ponte dell’abisso. Quale dei due vi precipiterà l’altro? Chi la vincerà?
la poesia d’un popolo è l’elemento del suo progresso: la quantità di civiltà si misura dalla quantità d’immaginazione.
Gli pareva d’aver attraversato una tomba, d’esservi entrato nero e d’esserne uscito bianco; e, in quella tomba, gli altri eran rimasti.
il giardino sacro offriva i suoi fiori all’anima
Nulla, in quel giardino, contrariava lo sforzo sacro delle cose verso la vita e la sua venerabile forza di espansione era là in casa sua. Gli alberi s’erano chinati verso i rovi che erano saliti verso gli alberi, la pianta s’era arrampicata, il ramo flesso e ciò che striscia sulla terra era salito a raggiungere ciò che sboccia nell’aria, così come ciò che ondeggia al vento s’era chinato verso ciò che si trascina fra il muschio: tronchi, ramoscelli, foglie, fibre, cespi, viticci, sarmenti e spine s’erano intrecciati, frammisti, sposati e confusi. La vegetazione, in un abbraccio stretto e profondo, aveva celebrato e consumato, sotto lo sguardo soddisfatto del creatore, in quel recinto di trecento piedi quadrati, il santo mistero della sua fraternità, simbolo della fraternità umana. Quel giardino non era più un giardino, ma un colossale macchione, ossia qualche cosa d’impenetrabile come una foresta, popolato come una città, fremente come un nido, tetro come una cattedrale, odoroso come un mazzolino, solitario come una tomba, vivente come una folla….
In maggio, quell’enorme cespuglio, libero dietro la sua cancellata e fra le sue quattro mura, andava in amore nel sordo lavoro della germinazione universale, trasaliva sotto il sole levante, quasi come una bestia che aspiri gli effluvi dell’amore cosmico e senta la linfa d’aprile salire e ribollire nelle vene e, scuotendo al vento la sua prodigiosa capigliatura verde, seminava sulla terra umida, sulle statue consunte, sulla cadente scalinata del padiglione e perfino sul selciato della via deserta i fiori a modo di stelle, la rugiada come perle, la fecondità, la bellezza, la vita, la gioia e i profumi. Sul meriggio mille farfalle bianche vi si rifugiavano ed era uno spettacolo divino veder là turbinare a fiocchi, nell’ombra, quella neve vivente dell’estate.
Là, in quelle gioconde tenebre della verzura, una quantità di voci innocenti parlavano dolcemente all’anima, e ciò che il cinguettìo s’era scordato di dire, il ronzìo completava…. vi si sentiva quell’intimità sacra dell’uccello e della pianta, per cui, di giorno, le ali rallegrano le foglie e, di notte, le foglie proteggono le ali.
quel piccolo recinto spirava la malinconìa, la solitudine, la libertà, l’assenza dell’uomo, la presenza di Dio; e la vecchia cancellata corrosa aveva l’aria di dire: «Questo giardino è mio.»
Chi dunque conosce i flussi e i riflussi reciproci dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, gli echi delle cause nei precipizi dell’essere e le valan- ghe della creazione? Un àcaro conta; il piccolo è grande e il grande è piccolo; tutto è in equilibrio nella necessità, visione che sgomenta lo spirito. Vi sono fra gli esseri e le cose relazioni prodigiose, e in quell’inesauribile insieme non ci si disprezza, da sole a moscerino: si ha bisogno l’uno dell’altro.
…la notte fa la distribuzione d’essenze stellari ai fiori addormentati. Tutti gli uccelli che volano hanno ad una zampa il filo dell’infinito.
rotolando tutto negli invisibili misteri degli effluvi, impiegando tutto, non perdendo un solo sogno di un solo sonno, qui seminando un animaletto, là sbriciolando un astro, oscillando e serpeggiando, facendo della luce una forza e del pensiero un elemento, disseminata e indivisibile, tutto dissolvendo, eccettuato nel punto geometrico che è l’io, tutto riconducendo all’anima atomo, facendo sbocciar tutto in Dio, intrecciando fra loro, dalla più alta alla più bassa, tutte le attività nell’oscurità d’un meccanismo vertiginoso….
l’amore: una stella della notte interiore
ubbidiamo ciecamente al sole. Cos’è il sole? È l’amore (come Dante). ho avuto un’anima soffusa di luce lunare. che Cosette sia il sole per Mario, e Mario l’universo per Cosette. Il miglior modo d’adorar Dio è amare la propria moglie. L’amore è il crogiuolo sublime in cui si compie la fusione dell’uomo e della donna; ne escon l’essere unico, triplice, finale, la trinità umana. …si vedrebbero chinarsi i fantasmi della notte, gli ignoti alati, i celesti viandanti dell’invisibile folla di teste cupe, intorno alla casa luminosa, soddisfatti e benedicenti, mostrandosi l’un l’altro la vergine sposa, dolcemente sgomenti nel riflesso della felicità umana sui volti divini. Se in quell’ora suprema i due sposi, immersi nella voluttà e sicuri d’esser soli, ascoltassero, sentirebbero nella loro camera un confuso brusio d’ali.
vi sono momenti in cui la donna accetta, come una dea triste e rassegnata, la religione dell’amore. le loro labbra s’erano congiunte mentre i loro sguardi rivolti in alto, traboccanti d’estasi e pieni di lagrime, contemplavano le stelle.
Un bacio e fu tutto. Trasalirono entrambi, e si guardarono nell’ombra con occhi sfavillanti.
Quei due cuori si versarono l’uno nell’altro, in modo che in capo ad un’ora il giovane possedeva l’anima della fanciulla e lei l’anima del giovane. Si compenetrarono, s’incantarono, s’abbacinarono.
due esseri composti di castità e di innocenza, traboccanti tutte le felicità celesti, più vicini agli arcangeli che agli uomini, puri, onesti, inebbrianti, raggianti, che splendevan l’uno per l’altro nelle tenebre. A Cosette sembrava che Mario avesse una corona, ed a Mario, che avesse un nimbo.
Per lui, ella era un profumo e non una donna; ed egli la respirava.
Si sarebbe potuto dire di lei che s’era fatta luminosa. A chi la vedeva, dava la sensazione dell’aprile e dell’alba; v’era la rugiada nei suoi occhi. Era una condensazione di luce mattutina in forma di donna. La donna sente e parla col tenero istinto del cuore, ch’è infallibile. Nessuno sa dire meglio d’una donna, cose dolci e profonde: dolcezza e profondità, ecco la donna. Ed ecco il cielo.
coi cuori negli occhi, mormorano e bisbigliano; e un immenso ondeggiare d’astri riempie l’infinito.
Di notte, quand’essi vi si trovavano, quel giardino sembrava un luogo vivo e sacro. Tutti i fiori s’aprivan loro intorno, mandando i loro incensi ad essi che aprivan le loro anime e le versavano nei fiorì. La vegetazione lasciva e vigorosa, piena di linfa e d’ebbrezza, trasaliva intorno a quei due innocenti, alle cui parole d’amore gli alberi fremevano.
Era un assente tranquillo ed accasciato, che pareva pronto a rifugiarsi nella morte e che inviava all’assente il segreto del destino, la chiave della vita, l’amore.
Quando l’amore ha fuso e congiunto due esseri in una unità angelica e sacra, il segreto della vita, è per essi, scoperto: sono soltanto i due termini d’uno stesso destino, le due ali d’una stessa mente. Amate, volate!
Dio è dietro tutto, ma tutto nasconde Iddio: le cose sono nere e le creature opache. Amare un essere, vuol dire renderlo trasparente.
Gli amanti separati ingannano l’assenza con mille chimere, le quali, pure, hanno la loro realtà. Si vieta loro di vedersi e non possono scriversi: ed essi trovano una quantità di mezzi per corrispondersi. Si mandano il canto degli uccelli, il profumo dei fiori, il riso dei bimbi, la luce del sole, i sospiri del vento, i raggi delle stelle, tutta la creazione. E perché no? Tutte le opere di Dio sono fatte per servire l’amore; e l’amore è abbastanza possente, per incaricare la natura intera dei suoi messaggi.
O primavera, tu sei una lettera ch’io le scrivo.
La riduzione dell’universo ad un solo essere, la dilatazione d’un solo essere fino a Dio: ecco l’amore.
L’avvenire appartiene assai più ancora ai cuori che alle menti. Amare: ecco la sola cosa che possa occupare e riempire l’eternità. All’infinito occorre l’inesauribile.
L’amore fa parte dell’anima stessa ed è della sua stessa natura. Al pari di essa è scintilla divina, al pari di essa è incorruttibile, indivisibile e imperitura; è punto infuocato in noi, immortale e infinito, che nulla può limitare e nulla spegnere. Lo si sente ardere nel midollo delle ossa, lo si vede raggiare fino in fondo al cielo.
Ho incontrato per via un giovane poverissimo, che amava. Il suo cappello era vecchio, logoro il suo abito; aveva i gomiti fuori. L’acqua gli passava attraverso le scarpe e gli astri attraverso l’anima.
Un’allodola, che sembrava congiunta alle stelle, cantava ad altezza prodigiosa, e si sarebbe detto che quell’inno della piccolezza all’infinito calmasse l’immensità…. Venere splendente sorgeva dietro quella cupola e pareva un’anima che evadesse da un edificio tenebroso.
Cosette era nella propria ombra, come Mario nella sua, completamente pronta a prender fuoco. Il destino, colla sua pazienza misteriosa e fatale, avvicinava lentamente l’uno all’altro quei due esseri tutti carichi e tutti languenti della minacciosa elettricità delle passioni, quelle due anime che portavan l’amore, come due nubi portano il fulmine, e che dovevano incontrarsi e congiungersi in uno sguardo, come le nubi in un lampo.
scopriva ad ogni istante il fondo della vita, dell’umanità e del destino. Felice, sia pure fra le angosce, colui al quale Dio ha dato un’anima degna dell’amore e della infelicità! Chi non ha visto le cose di questo mondo e il cuore degli uomini sotto questa doppia luce non ha visto il vero e non sa nulla. L’anima che ama e soffre è sublime.
….guarda tanto la umanità, da veder l’anima, così come guarda tanto la creazione, da veder Dio… vive coi piedi nelle afflizioni, negli ostacoli, sul lastrico, nei rovi e talvolta nel fango, colla testa nella luce… quando scorgeva attraverso gli alberi lo spazio senza fondo, i bagliori senza nome, l’abisso, l’ombra e il mistero, tutto ciò ch’è soltanto umano gli sembrava piccolissimo. Le nostre chimere sono quelle che più ci somigliano, e ciascuno sogna l’ignoto e l’impossibile secondo la propria natura.
gli pareva d’aver nel cuore tutti i canti d’uccelli che sentiva e tutti i lembi di cielo che vedeva attraverso le foglie degli alberi… Che c’era stavolta, nello sguardo della fanciulla? Mario non avrebbe saputo dirlo. V’era nulla e tutto: fu come uno strano lampo. Quel che aveva visto, non era l’occhio ingenuo e semplice d’una bimba, ma un abisso misterioso, che s’era socchiuso e poi rinserrato bruscamente. …Gli pareva di nuotare in pieno cielo azzurro… amava una donna e il suo destino entrava nell’ignoto. …le sollevò la gonnella, quella gonnella più sacra di quella d’Iside, quasi all’altezza della giarrettiera. Apparve una gamba di forma squisita, Mario la vide e ne fu esasperato e furioso.
… visto a quella luce, aveva piuttosto l’aspetto d’un demonio che d’un fabbro…. La luna, entrando dai quattro riquadri della finestra, proiettava il suo candore nella stamberga purpurea e fiammeggiante e, per la poetica fantasia di Mario, sognatore anche nel momento dell’azione, era come un pensiero del cielo, congiunto ai sogni deformi della terra.
Cosette pensava: una tristezza vaga la prendeva a poco a poco, quella tristezza invincibile che la sera dà e che vien forse, chissà? dal mistero della tomba, in quell’ora socchiuso. Forse, Fantine era in quell’ombra.
l’uccello-pesce dei sogni
mentre stava addormentandosi, in quel torbido istante in cui il pensiero, simile a un uccello favoloso che si muta in pesce per traversare il mare, prende a poco a poco la forma di sogno, per traversare il sonno
Dante avrebbe creduto
I pensieri apparvero sui visi e fu un momento spaventoso: eran demonî visibili senza maschera, anime feroci messe a nudo. …Dante avrebbe creduto di vedere i sette cerchi dell’inferno in cammino: cammino delle dannazioni verso i supplizî, compiuto sinistramente, non già sul formidabile carro sfolgorante dell’Apocalisse, ma, ben più orribilmente, sulla carretta delle gemonie.
il gergo: le parole-maschere
rivestendosi di parole che son maschere e di metafore che sono cenci.
…si vedrebbe ben chiaro stranamente come ogni individuo della specie umana corrisponda a questa o a quella specie della creazione animale. Le parole sono deformi e improntate d’una fantastica bestialità; sembra di sentir parlare le idre. È l’inintelligibile delle tenebre; è un arrotar di denti e un bisbiglio, che completa il crepuscolo coll’enigma. …. una spaventosa lingua di rospo che va, viene, saltella, striscia, schizza bava e si muove mostruosamente in quell’immensa nebbia grigia fatta di pioggia, di tenebre, di fame, di vizio, di menzogna, d’ingiustizia, di nudità, d’asfissia e di gelo, pieno meriggio dei miserabili…. In questo mondo, evidentemente vestibolo d’un altro, non vi sono felici. La vera divisione umana è la seguente: quelli che sono illuminati e quelli che sono al buio…. Insegnare a leggere, significa accendere il fuoco; ogni sillaba compitata sfavilla.
Del resto, chi dice luce non dice necessariamente gioia. Si soffre, nella luce; l’eccesso brucia, la fiamma è nemica dell’ala. Bruciare senza cessar di volare, ecco il prodigio del genio. Quando conoscerete e quando amerete, soffrirete ancora. La luce nasce in lagrime; ed i luminosi piangono, non foss’altro, su quelli delle tenebre…. Una folla d’anime cattive, basse o irritate, che hanno attraversato la vita e sono andate a svanire nell’eternità, son lì quasi intere, ed in certo qual modo ancor visibili, sotto la forma d’una parola mostruosa.
- gahisto, il diavolo, che viene da gaiztoa, cattivo (basco), poi il rabouin, poi il boulanger
- guédouze, la morte, che viene da guenn-du, bianca e nera (celtico)
- meg, cioè Dio
- sourgue notte
- orgue uomo
la creazione diretta della parola. In ciò risiede il mistero di tutte le lingue: dipingere con parole che hanno, non si sa come né perché, una figura. La peculiarità d’una lingua che vuol tutto dire e tutto nascondere, è d’abbondare di figure. Tutte le parole di questa lingua sono perpetuamente in fuga, come gli uomini che le pronunciano. Per essi l’idea dell’uomo non si separa da quella dell’ombra. La notte si dice la sourgue; l’uomo, l’orgue. L’uomo è un derivato della notte. Cos’è la galera? È un braciere di dannazione, un inferno; e il galeotto si chiama una fascina. Si ha un bel fare, ma non è possibile annientare l’eterno sopravvissuto del cuore umano, l’amore.
E nessuno verrà in soccorso dell’anima umana, in quell’ombra? È suo destino d’attender là per sempre lo spirito, il liberatore, l’immenso cavaliere dei pegasi e degli ippogrifi, il combattente del color dell’aurora, che scende dall’azzurro fra due ali, il radioso cavaliere dell’avvenire? È proprio condannata a sentir venire spaventosamente nelle profondità dell’abisso il Male e ad intravedere, sempre più vicina, sotto le acque orribili, quella testa di drago, quelle fauci che masticano la schiuma e quella serpeggiante ondulazione di artigli, di rigonfiamenti e di anelli? È necessario che rimanga laggiù, senza un bagliore, senza speranza, abbandonata, vagamente annusata dal mostro formidabile che sta per avvicinarsi a lei che, fremente e scapigliata, si torce le mani, incatenata per sempre alla rupe della notte, cupa Andromeda candida e nuda nelle tenebre?
I miserabili
Victor Hugo